violazione di marchio

Il pericolo di usare il proprio nome come marchio.

Circa un anno dopo che Thaddeus O'Neil ha lanciato una linea di abbigliamento maschile ispirata alla cultura surf tipica della zona di Eastern Long Island in cui lui stesso è cresciuto, l’indipendente designer ha ricevuto una lettera di diffida da uno studio legale che rappresenta Sisco Textiles, titolare del famoso marchio di abbigliamento sportivo "O’Neill ".

Questo è stato l'inizio della controversia legale tra il marchio d’abbigliamento per surfisti, O’Neil, fondato nel 1952, e il designer di New York che sta guadagnando sempre più popolarità dopo aver vinto diversi concorsi di moda.

Nella loro controversia con il fashion designer di New York, la società O'Neill sostiene che il suo brand stia usando questo nome fin dagli anni '50 e che i marchi di Thaddeus O'Neil sono "simili in maniera confusionaria". Secondo O'Neill questo potrebbe ingannare i consumatori e condurli a pensare che le aziende siano correlate.

Le controversie sul marchio che coinvolgono patronimici (cioè in cui il marchio sia equivalente al nome del fondatore) sono piuttosto comuni nella moda. Nel 2012, Tod's - che, a quel tempo, utilizzava il marchio “Roger Vivier” in virtù di un contratto di licenza - ha condotto in giudizio la designer di borse di Los Angeles, Clare Vivier, per violazione del marchio. Alla fine, Clare Vivier ha ribattezzato il proprio marchio in “Claire V.”. Nel 2016, in Italia, Elio Fiorucci ha perso la causa che coinvolgeva l'utilizzo del marchio "Love Therapy by Elio Fiorucci" contro i nuovi proprietari del marchio che aveva fondato.

Ma qual è la posizione dei tribunali italiani quando l'uso di patronimici potrebbe generare confusione con altri marchi? Alla fine degli anni '80 la Corte di Cassazione ha affermato che l'uso di un patronimico come marchio è legittimo, seppur in conflitto con un marchio registrato precedentemente, fintanto che il marchio precedente non diventa un marchio famoso.

Questo principio è stato ribadito dalla Corte Suprema nel 2016 nel citato caso Fiorucci vs. Elio Fiorucci.

Il nostro consiglio? Eseguire una ricerca preliminare sui marchi già registrati prima di lanciare un brand con il proprio nome.

Hendrix vs Hendrix

Experience Hendrix, società controllata da Janie Handrix, la quale detiene i diritti sull’intero patrimonio del più famoso fratello chitarrista Jimi, ha citato in giudizio Leon Hendrix e il suo socio Pitsicalis per violazione del diritto d’autore e del marchio. Leon e Pitsicalis avrebbero, infatti, utilizzato illecitamente alcuni dei tanti marchi di proprietà di Experience (la firma e le immagini del volto e del busto di Jimi) per commerciare sigarette e bevande alcoliche. Ma le battaglie per l’utilizzo commerciale del nome di Jimi sono risalenti nel tempo. Già nel 2015 la Corte distrettuale di Washington si era pronunciata sulla questione, proibendo a Leon e Pitsicalis di utilizzare le immagini del musicista. Inoltre, lo scorso gennaio 2017 la Corte distrettuale della Georgia ha dichiarato illegittimo da parte di Leon e Pitsicalis l’utilizzo delle parole “Jimi” e “Hendrix” sui loro siti web, social media e piattaforme online. Con la causa intentata il 16 marzo 2017 di fronte al tribunale di New York, la Experience Hendrix ha chiesto che venga dichiarato illegittimo anche l’utilizzo del nome “Purple Haze” nella vendita di prodotti a base di marijuna e di magliette. Purple Haze, infatti, è una canzone scritta nel 1967 da Jimi Handrix. Experience Hendrix ha chiesto un provvedimento ingiuntivo, l’eliminazione dal mercato dei beni in violazione dei diritti sul marchio registrato e un risarcimento dei danni. D’altra parte, Thomas Osinski, avvocato di Pitsicalis e Leon Hendrix, ha dichiarato che “Experience Hendrix conosce da tempo i prodotti dei miei clienti e conduce questa causa solo per offuscare e interferire con gli affari leciti e corretti di Leon che rispetta l’'eredità di Jimi Hendrix.” Osinski, in merito al contenuto della citazione, ha dichiarato che, sebbene le sentenze precedenti hanno escluso Leon Hendrix e la sua famiglia dal catalogo musicale di Jimi Hendrix, e hanno negato la possibilità di utilizzare i marchi creati da Experience Hendrix, niente impedisce a Leon e ai suoi soci di vendere altra merce legata a Hendrix. Chissà come il Tribunale risolverà questa lite familiare questa volta.

L'immagine di Marylin Monroe come marchio registrato.

Lo scorso 9 novembre 2016, la Marilyn Monroe Estate ha citato in giudizio un’azienda di abbigliamento newyorkese per essersi illegittimamente servita del marchio “Marilyn Monroe”, di cui la prima è titolare, attraverso l’utilizzo dell’immagine della celebre attrice.

La Marilyn Monroe Estate ha registrato presso il PTO (The United States Patent & Trademark Office) l’esclusiva proprietà dell’immagine, del nome, dell’identità e delle rappresentazioni di Marilyn, nonché il diritto di concedere la licenza di questi diritti a terze parti. 
The Estate of Marilyn Monroe è, dunque, detentrice e licenziataria del marchio Marilyn Monroe, che continuativamente e da oltre trent’anni utilizza sui mercati. Questa circostanza rende il marchio incontestabile, conferendogli una maggiore garanzia di tutela. 

Per questi motivi, la Monroe Estate ha chiesto che venissero accertate le violazioni previste dal Lanham Act, 15 U.S.C. 1051 ss, dallo Statuto di New York e dalle altre leggi applicabili di Common Law, e che venisse risarcito il danno cagionato, in termini di sfruttamento e diluizione del marchio, nonché di concorrenza sleale.

Poco importa, dunque, che il nome di Marilyn non venga effettivamente utilizzato in commercio dalla società convenuta: l’immagine della più famosa diva di tutti i tempi, quando usata come segno distintivo o marchio, rientra tra i “Monroe Rights” di proprietà dell’attore.
Più in particolare, come si evince anche da una precedente pronuncia giurisprudenziale*, è necessario distinguere la violazione dei diritti di sfruttamento del marchio dai diritti di sfruttamento dell’immagine. Solo la prima fattispecie, infatti, per essere integrata richiede che il consumatore sia indotto a credere che l’utilizzo del marchio sia stato autorizzato dal titolare. 
E proprio su questo punto, la Monroe Estate precisa che una confusione tra i consumatori e i rivenditori c’è stata: in molti avrebbero infatti contatto la società credendo che i prodotti della convenuta fossero stati approvati, autorizzati o sponsorizzati dalla società proprietaria del marchio.

Nel caso concreto, dunque, mentre potrebbe essere difficilissimo, o addirittura impossibile, provare una violazione del marchio visto che il marchio non è stato usato, l’articolo 1125 (a) 15 U.S.C dà ampio potere all’attore per intentare una richiesta legittima. 
Infatti, la legge federale americana sul marchio è rivolta alla tutela del consumatore. Se si è in presenza di una effettiva confusione all’interno del pubblico dei consumatori ci dovrebbe essere anche un rischio di confusione, che è la fattispecie riconducibile alle previsioni dell’articolo 1125(a) U.S.C. 
L’esistenza di effettiva confusione contestuale alla presenza di un marchio registrato dovrebbe assicurare l’applicazione dell’articolo sopra citato, garantendo alla Monroe Estate di vedere accolta la propria domanda.

*A.V.E.L.A., Inc v. The Estate of Mailyn Monroe

L'uso degli hashtags ed i diritti di marchio del CIO.

Il Comitato Olimpico Americano  (USCO) sta cercando di prevenire ad alcune aziende l’utilizzo degli hashtag ufficiali, come #TeamUSA e # Rio2016 su Twitter.Nelle ultime settimane, l'USOC ha inviato alcune lettere ad aziende sponsor di atleti (che non sono sponsor ufficiali dei giochi), contestando la violazione dei diritti di marchio di proprietà del USCO per il solo fatto di far riferimento a #Rio2016.
In una di queste lettere, scritte dall’USOC, si afferma: “le aziende non possono postare commenti sui  Giochi tramite i loro account social media aziendali. Questa restrizione include l'uso di marchi di proprietà dell’USOC “# Rio2016” e “#TeamUSA”.


L'approccio (alquanto rigido) mira a proteggere sponsor - come Coca Cola, McDonald, GE, P & G, Visa e Samsung - che hanno investito rilevanti somme per farsi accreditare come sponsor ufficiali della nota manifestazione sportiva. 


Negli Stati Uniti è possibile depositare un hashtag come marchio d’impresa sin dal 2013 ma l’applicazione del diritto dei marchi a tali segni distintivi può in alcuni casi rivelarsi poco efficace  per proteggere un segno distintivo contrassegnato dal segno del “cancelletto”.


Infatti violazione di un marchio si verifica quando una parte utilizza un marchio allo scopo di confondere il pubblico in relazione all’origina di un prodotto o di un servizio commercializzato.

Tuttavia, non è detto che ogni volta che si utilizza un hashtag ciò avvenga con il preciso scopo di distinguere un prodotto o un servizio da quello di un concorrente. Infatti ciò può avvenire al solo scopo di effettuare delle dichiarazioni all’interno di un forum. Del resto in quale altro modo si può indicare che si sta parlando delle Olimpiadi di Rio del 2016 senza scrivere # Rio2016?