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Il Tribunale di Torino si esprime sulla proteggibilità del segno K-way come marchio tra l’eccezione di esaurimento e tematiche di ambush marketing

Recentemente la sezione specializzata del Tribunale di Torino si è espressa in un caso molto interessante che ha riguardato l’applicazione della scriminante prevista in tema di esaurimento del marchio a fronte di una difesa che invocava il pericolo del c.d ambush marketing.

Le parti in causa sono state da un lato la Basicnet, leader nel settore della produzione di abbigliamento e titolare del marchio KWAY e dall’altro la FIFA e la Sony.

Basicnet si era accorta che, nel periodo dal 14 giugno al 15 luglio 2018, nel video ufficiale della canzone scelta come colonna sonora del campionato del mondo di calcio svoltosi in Russia, intitolata “LIVE IT UP” (FIFA World Cup 2018), il cantante Nicky Jam indossava un giubbotto K- WAY. Il marchio K-WAY, impresso dal produttore, era però dapprima offuscato nel video, e poi del tutto eliminato.

Il video è stato visibile per tutto il periodo di svolgimento del campionato mondiale ed al momento dell’introduzione della causa era raggiungibile sul sito web della UEFA e su varie piattaforme digitali tra cui il canale Youtube.

Il contesto della vicenda si inserisce nel contesto della promozione e sponsorizzazione del campionato del mondo di calcio, nell’ambito del quale Sony aveva avuto dalla FIFA l’incarico di realizzare e produrre fra l’altro, il brano musicale e il correlato video ufficiale del Campionato Mondiale di Calcio che si sarebbe svolto in Russia nel 2018, e, nell’ambito di tale incarico, aveva stabilito contrattualmente con il committente ogni dettaglio relativo alla produzione e realizzazione della colonna sonora, anche con riferimento alle esclusive che gli sponsor del Campionato Mondiale di Calcio si erano assicurate.

Una volta firmato il contratto con la FIFA, Sony girava il videoclip della canzone ufficiale della manifestazione interpretato dal cantante Nicky Jam. Il giorno delle riprese il cantante si era recato sul set indossando un giubbotto K-way molto particolare per la foggia ed i colori nonché per essere marchiato con un enorme logo K-Way oltre che dalla tradizionale cerniera colorata che contraddistingue i prodotti K-Way.

I responsabili Sony presenti rappresentavano subito al cantante che non sarebbe stato possibile inquadrare il giubbotto in quanto non vi era l’autorizzazione del produttore della giacca sfoggiata da Nicky Jam e che la stessa Basicnet avrebbe potuto essere accusata di ambush marketing da parte della autorità russe.

Più precisamente i responsabili della Sony rappresentarono al cantante che il giubbotto non avrebbe potuto essere inquadrato in ragione degli impegni contrattuali assunti dalla FIFA nel rispetto dei diritti di esclusiva degli sponsor ufficiali del mondiale di calcio tra cui non vi era la Basicnet.

Sony aveva inoltre rappresentato al cantante che l’utilizzo del marchio K-Way avrebbe potuto condurre a contestazioni da parte delle stesse autorità russe in ragione dell’illecito accostamento alla manifestazione di un marchio ad essa estraneo. A fronte, peraltro, del rifiuto del cantante a girare il video togliendosi il giubbotto Sony decise allora, come soluzione di ripiego, di oscurare il logo in fase di post produzione per cui una volta girato il video il logo K-Way venne cancellato elettronicamente dal giubbotto.

Il video così realizzato veniva anche caricato sul canale Youtube dell’artista.

Accortasi del fatto, Basicnet aveva richiesto a Sony e a FIFA l’immediato ritiro del video e il ripristino del marchio sul giubbotto asserendo che l’alterazione del marchio dell’attrice operata dalle convenute FIFA e Sony costituiva una violazione dei diritti di privativa del K-way a livello nazionale e comunitario, nonché integra una impostesi di concorrenza sleale

Secondo la difesa di Basicnet l’utilizzazione di un capo con apposto un marchio registrato doveva rispettare, anche nella fase post-vendita, la scelta del legislatore di tutelare il marchio registrato non solo contro il rischio di confusione quanto all’origine, ma anche contro l’erosione del valore promozionale incorporato nel segno, qualora di detto segno fosse stato fatto un uso a scopo di lucro.

Secondo parte attrice il comportamento in esame aveva determinato altresì un danno per l’immagine di prestigio dei prodotti e la rinomanza del marchio anche in considerazione del fatto che ogni manipolazione di un marchio è idonea a costituire fonte di lucro sia diretta che indiretta per chi la mette in atto. Sulla base di tali argomentazioni Basicnet chiedeva una inibizione della circolazione del video ed una liquidazione del danno in via equitativa.

Le difese delle parti convenute hanno da parte loro invocato il c.d. principio di esaurimento del marchio sostenendo che tale violazione non sarebbe sussistente laddove la cancellazione del logo sarebbe avvenuta su un prodotto appartenente al cantante e da questi indossato e non destinato, quindi, alla commercializzazione. Per questa ragione non avrebbero potuto trovare applicazione nella specie i principi di eccezione al principio di esaurimento del marchio, difettando in ogni caso l’elemento soggettivo della violazione in quanto la decisione di procedere alla cancellazione elettronica del logo sarebbe avvenuta a seguito della necessità di rispettare i protocolli per evitare la violazione dell’esclusiva riconosciuta agli sponsor dell’evento sportivo.

Inoltre le parti convenute argomentavano che gli organizzatori di tali eventi sono usuali bersagli del c.d. “ambush marketing”, ovvero di quelle attività promozionali promosse a danno degli sponsor ufficiali da parte di altri brand che non sono sponsor ufficiali e che, spesso approfittando dell’assenza di una specifica legislazione, tentano di “agganciarsi” alla manifestazione ed ottenere visibilità con un'azione di marketing non convenzionale.

La giurisprudenza di merito italiana ha già avuto modo di affermare che “ricorrono i "motivi legittimi perché il titolare del marchio si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti", come eccezione al c.d. "principio di esaurimento" in caso di rimozione del codice identificativo apposto sulle bottiglie di un prodotto (nella specie: un distillato). Ed invero, siffatta rimozione era idonea a ledere la reputazione del marchio e del suo titolare, se non altro per l'immagine di minor pregio che le bottiglie manipolate trasmettono ai consumatori, con ricadute negative, per il segno, anche sui prodotti commercializzati integri. Ne consegue che è irrilevante l'area, comunitaria o extracomunitaria, di immissione in commercio delle bottiglie in questione, dal momento che vi sono state alterazioni/manipolazioni della confezione e del prodotto” (Tribunale di Torino 12.5.2008).

Ancora si è affermato che “l'uso del marchio successivo alla prima immissione in commercio del prodotto incorporante il diritto non deve essere causa di detrimento alla reputazione e al prestigio collegati al segno distintivo, ciò costituendo motivo legittimo a che l'esaurimento del diritto non si verifichi” (Tribunale di Bologna 26.3.2010).

A parere della Corte, nel caso di specie la Sony, in sede di post produzione del video, ha pacificamente oscurato il logo K-Way posto sul giubbotto oggetto di causa che aveva indubbiamente una funzione particolarmente caratterizzante il prodotto in oggetto anche tenuto conto delle notevoli dimensioni di tale logo.

La Corte ha ritenuto chiaro che l’utilizzazione digtale del prodotto, oscurato del logo, costituisse una lesione del marchio stesso e, in particolare, della sua reputazione e del suo prestigio. Sotto tale profilo deve, quindi, ritenersi integrata la violazione degli artt. 5 Cpi e 13 Rmue, atteso che nessuna autorizzazione da parte dell’attrice, titolare dei marchi in oggetto, a tale oscuramento era stata concessa né espressamente né tacitamente.

A parere del Tribunale di Torino non può essere condiviso quanto sostenuto dalla convenuta in merito alla insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle citate disposizioni esimenti in quanto non vi sarebbe stata alcuna immissione in commercio del giubbotto essendo lo stesso stato acquistato dal cantante ai fini del proprio personale godimento. L’eccezione non è stata ritenuta pertinente in quanto se è vero che non risulta contestata l’appartenenza del giubbotto al cantante, vero è anche che proprio con l’utilizzo di quel giubbotto e all’alterazione del marchio che lo contraddistingue che il video è stato girato e diffuso a livello mondiale, vista la risonanza dell’evento, con tutte le conseguenti ricadute commerciali a vantaggio, anche delle convenute.

Appare evidente, quindi, a parere della Corte che nel caso di specie non vi è stata alcun esaurimento del marchio atteso che il giubbotto, pur appartenendo al cantante, non è stato utilizzato a scopo di mero godimento nell’ambito della fisiologica immissione nel circuito economico ma specificamente al fine di realizzare un video destinato alla promozione di un evento di rilevanza mondiale quale il Mondiale di calcio Russia 2018.

Realizzazione e diffusione di tale video che sono avvenute proprio ad opera delle parti convenute.

Né può trovare ancora accoglimento la tesi secondo cui gli illeciti commessi difetterebbero dell’elemento soggettivo, laddove dalla stessa narrazione dei fatti operata dalla parte convenuta emerge inequivocabilmente come la stessa fosse ben consapevole del comportamento tenuto essendo l’oscuramento stato eseguito proprio dalla Sony al fine di aggirare i divieti di utilizzo di prodotti non riferibili agli sponsor ufficiali della manifestazione. Secondo il Tribunale di Torino, la posizione della parte attrice è, pertanto, da riconoscersi meritevole di tutela non sotto il profilo di un suo diritto a vedere accostato il suo marchio alla manifestazione sportiva in oggetto, diritto peraltro neppure reclamato dalla stessa attrice, bensì sotto il profilo del diritto della stessa a non vedersi alterare il logo del proprio prodotto e, conseguentemente, a non vedersene ledere il prestigio e il valore promozionale.

Sotto tale profilo, pertanto, la condotta posta in essere dalle parti convenute è da ritenersi contrastante con i principi di cui agli artt. 5 Cpi e 13 Rmue nonché di cui allo stesso art. 20 Cpi, rappresentando l’oscuramento del logo una ipotesi di contraffazione.

Il comportamento rileva, inoltre, anche sotto il profilo della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. in quanto è pacifico che Basicnet operi anche sul mercato della promozione di video pubblicitari dei propri prodotti e la diffusione di un video contenente un prodotto Basicnet modificato senza il suo consenso in modo da alterarne la capacità distintiva rappresenta un’ipotesi di comportamento non conforme alla correttezza professionale rilevante ai sensi dell’art. 2598 co. 3 cpc.

Per l’insieme di tali ragioni, pertanto, la pretesa attorea deve essere considerata fondata.

Non vale, inoltre a parere della Corte, il richiamo alla pratica dell’ambush marketing formulato dalle parti convenute. Ricorre tale pratica “allorché una campagna di comunicazione lasci intendere contrariamente al vero che un soggetto sia sponsor di un evento” (Giurì Codice Autodisciplina Pubblicitaria 8.7.2014). La pratica dell’ambush marketing è considerata ingannevole, poiché induce in errore il consumatore medio sull’esistenza di rapporti di sponsorizzazione ovvero di affiliazione o comunque di collegamenti con i titolari di diritti di proprietà intellettuale, invece insussistenti (in tal senso Tribunale di Milano 15.12.2017) e costituisce un’ipotesi particolare di concorrenza sleale contraria alla correttezza professionale che può trovare tutela nell’alveo generale dell’art. 2598,3° comma, c.c. (Tribunale Milano 15.12.2017).

In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di specificare che “con la figura dell’ambush marketing il concorrente sleale associa abusivamente l’immagine ed il marchio di un’impresa ad un evento di particolare risonanza mediatica senza essere legato da rapporti di sponsorizzazione, licenza o simili con l’organizzazione della manifestazione. In tal guisa lo stesso si avvantaggia dell’evento senza sopportarne i costi, con conseguente indebito agganciamento all’evento ed interferenza negativa con i rapporti contrattuali tra organizzatori e soggetti autorizzati. Si tratta dunque di illecito ove i soggetti danneggiati sono l'organizzatore dell'evento, il licenziatario (o sponsor) ufficiale ed infine il pubblico.” (Tribunale Milano 15.12.2017).

Da quanto sopra esposto emerge chiaramente come nel caso di specie non possa in alcun modo ravvisarsi una pratica di ambush marketing da parte di Basicnet. Quest’ultima non ha, infatti, compiuto alcuna attività associazione del proprio marchio all’evento del Mondiale di calcio di Russia 2018 e neppure ha acconsentito a che tale associazione venisse eseguita da altri. Sono state, infatti, le convenute ad utilizzare il prodotto Basicnet alternandone il logo nel tentativo di renderlo riconoscibile al fine di evitare di incorrere nella violazione degli accordi presi con gli sponsor ufficiali e con la stessa normativa russa. Nessuna attività e conseguentemente responsabilità può essere imputata alla Basicnet in relazione all’accaduto laddove questa è venuta a conoscenza dell’accaduto solo a seguito della diffusione del video.

La Corte di giustizia ritiene valido il marchio per la forma di una singola scanalatura di pneumatico (Yokohama Rubber vs Pirelli Tyre)

Alcuni giorni orsono la Corte di Giustizia della Comunità Europea (“CGCE”) ha emesso un provvedimento con il quale ha respinto l'azione di nullità proposta dal costruttore di pneumatici Yokohama contro la domanda marchio depositata da Pirelli per proteggere una mera parte del battistrada di un pneumatico come marchio.

Con tale decisione la CGCE ha riformato un precedente provvedimento della divisione di appello dell’EUIPO che aveva ritenuto che il disegno di una parte del battistrada non costituisse di per sé un marchio valido in relazione alla classe n. 12 della classificazione di Nizza, in quanto la scanalatura assolveva una funzione meramente tecnica e non distintiva. Tuttavia, nel 2018, la CGCE ha ribaltato questa decisione e ha confermato la registrazione del marchio contestato in particolare anche per questi prodotti.

Yokohama ha impugnato questa decisione davanti Corte di Giustizia Europea, che ha ora emesso una decisione finale in questa controversia (EU:C:2021:431). Anche l'Ufficio europeo dei marchi (EUIPO) e l'Associazione europea dei proprietari di marchi del Regno Unito sono intervenuti nella causa.

Come nei casi precedenti, la possibile funzione tecnica di una parte del battistrada Pirelli è stata ancora una volta oggetto di discussione davanti alla CGCE. Formalmente, sia Yokohama che l'EUIPO hanno fatto valere la violazione dell'articolo 7, paragrafo 1, lettera e), punto ii), del regolamento 40/94 nella sentenza del Tribunale di primo grado del 2018 poi impugnata.

Secondo la CGCE, il Tribunale di primo grado ha erroneamente ritenuto che una singola scanalatura di un pneumatico, che costituiva il marchio contestato, non fosse di per sé in grado di svolgere una funzione tecnica ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 1, lettera e), punto ii), del regolamento n. 40/94 perché la scanalatura appariva in un battistrada di pneumatico in combinazione con altri elementi.

Contrariamente all'opinione della ricorrente, il Tribunale di primo grado non aveva escluso la possibilità che l'articolo 7, paragrafo 1, lettera e), punto ii), del regolamento n. 40/94 si applichi a un segno la cui forma è necessaria per ottenere un risultato tecnico che contribuisce al funzionamento di un prodotto, anche se tale forma non è di per sé sufficiente per ottenere il risultato tecnico previsto di tale prodotto. La CGCE ha aggiunto che, al contrario, il Tribunale di primo grado aveva constatato che le prove presentate dalla Yokohama dinanzi all'EUIPO non dimostravano che una sola scanalatura di forma identica a quella rappresentata dal marchio in questione fosse in grado di ottenere il risultato tecnico ipotizzato nella decisione impugnata.

In sostanza, la Corte ha confermato le valutazioni del Tribunale secondo cui il marchio controverso non rappresenta il disegno di un battistrada e quindi non è costituito esclusivamente dalla forma dei prodotti in questione (in particolare pneumatici) ai sensi dell’articolo 7(e)(ii) del Regolamento (CE) n.ro 40/94. Esso rappresenta al massimo una singola scanalatura di un battistrada di pneumatico e non un battistrada di pneumatico, poiché non incorpora gli altri elementi di un battistrada di pneumatico.

Valore artistico e tecniche innovative di scultura

La stampa 3D, è uno strumento versatile, che si presta a realizzare qualsiasi cosa, da una semplice matita a un intero edificio, che può essere scannerizzato, trasformato in algoritmo e infine ri-materializzato da un macchinario che lo scolpisce letteralmente in sole 48 ore.

In ambito artistico, le applicazioni sono potenzialmente infinite e oggi, studi di architettura e case di moda fanno sempre più spesso utilizzo di stampanti 3D per realizzare i propri progetti, contenendo i costi e riducendo anche l’impatto ambientale della produzione.

Ma è nel mondo della scultura che l’utilizzo di tecniche di fresatura tridimensionale sono venute alla ribalta con un caso giudiziario di contraffazione di opera d’arte, perché, sé è vero che la stampa 3D è una grandissima opportunità di innovazione per il mondo artistico, la circolazione su larghissima scala di internet di file contenenti informazioni idonee alla riproduzione attraverso le stampanti 3D, crea nuove possibilità di conflitti con i diritti altrui.

E’ quello che è avvenuto con una scultura realizzata con tecniche innovative e progettata in uno dei centri europei di eccellenza della lavorazione in legno: la Val Gardena, che è conosciuta in Italia e all’estero come la patria delle lavorazioni artigianali a carattere religioso; in questo mercato, la famiglia Demetz è attiva da generazioni nella realizzazione di sculture che oggi progetta e realizza attraverso l’impiego di metodi d’avanguardia.

Per realizzare una statua commissionatale da un rivenditore americano nel 2019, la Demetz Art Studio S.r.l., una volta ultimata la realizzazione di un disegno e di un primo esemplare in legno, si è rivolta ad un’impresa fiorentina perché realizzasse la fresatura robotica dalla statua a partire da una scansione 3D, che le ha consegnato in un apposito file, con l’espressa indicazione di restituirlo o distruggerlo e, in ogni caso, di non realizzare altri esemplari della statua.

A fresa ultimata e consegnata la statua negli Stati Uniti, la famiglia Demetz notava su Facebook il post di una fotografia, scattata nello stesso stabilimento in cui era stata realizzata la fresatura e che raffigurava proprio la statua che aveva commissionato; da un’ispezione a sorpresa, rinveniva sul posto anche un’altra copia in lavorazione della statua e la sua immagine inserita in un depliant.

Dopo aver chiesto inutilmente la restituzione del file della scansione 3D, che consentiva di realizzare le copie delle statua, la Demetz Art Studio S.r.l. instaurava un procedimento d’urgenza dinnanzi al Tribunale di Firenze, chiedendo descrizione, sequestro ed inibitoria del file della scansione, delle copie della statua e del materiale promozionale su cui era raffigurata.

Il Tribunale accoglieva le richieste della ricorrente con decreto inaudita altera parte e, in sede di conferma del provvedimento, metteva in luce alcuni aspetti relativi alla tutela riconosciuta dal diritto d’autore alle opere creative.

Il primo aspetto interessante del provvedimento riguarda, in termini generali, il rapporto tra creazione artistica e nuove tecnologie di realizzazione dell’opera: a detta del Tribunale, la creatività e la paternità di un’opera non vengono meno nel momento in cui ne avviene la trasposizione in immagine digitale e poi la riproduzione meccanica, nemmeno quando la realizzazione di queste fasi di lavorazione abbiano comportato l’intervento esecutivo di terzi.

Prendendo posizione nello specifico sull’uso illecito dell’opera altrui, il Tribunale ha disatteso la tesi della resistente che sosteneva di aver utilizzato l’immagine della statua sui depliant e sulle brochure solo a dimostrazione delle proprie capacità realizzative; infatti, anche la rappresentazione e l’utilizzo di un’opera altrui come esempio della propria abilità esecutiva costituisce ugualmente un uso finalizzato ad ottenere un vantaggio economicamente apprezzabile, anche se solo in termini di risonanza pubblicitaria e, in assenza di autorizzazione dell’autore, integra una violazione dei diritti di privativa di quest’ultimo.

Riconoscendo carattere creativo alla statua realizzata da Demetz, il Tribunale di Firenze ha applicato l’art. 12 comma 2 l.d.a., che stabilisce che spetta all’autore il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo.

Trattandosi di un utilizzo di un’opera altrui diretto a perseguire un vantaggio economico, come quello di ottenere risalto e notorietà presso il pubblico, non poteva trovare applicazione in questo caso quel sistema di eccezioni e limitazioni previsto dalla normativa nazionale sul diritto d’autore per particolari ipotesi meritevoli di tutela.

Infatti, in virtù di norme quali l’art. 70 della legge sul diritto d’autore italiana, è oggi consentito utilizzare liberamente - e senza bisogno di autorizzazione da parte dell’autore - le opere d’arte in tutti i casi in cui occorra la protezione del diritto d’autore si trovi in conflitto con la tutela di obiettivi e valori che, spesso, si pongono in antitesi con esso (per esempio la libertà d’espressione e comunicazione, la tutela della riservatezza degli utenti, il progresso artistico e scientifico, ecc.).

In questo scenario, la Direttiva Copyright del 2019 - di prossimo recepimento in Italia - è intervenuta rendendo gli usi leciti delle opere protette (quali possono essere quelli di citazione, critica, rassegna e gli utilizzi a scopo di caricatura e parodia) oggetto di normazione obbligatoria per tutti gli Stati membri dell’Unione europea.

Tribunale di Firenze, ordinanza 7 gennaio 2021.

Il “mattoncino” LEGO è tutelabile come modello comunitario.

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Con decisione del 24 marzo 2021 (T- 515/19) il Tribunale dell’Unione Europea ha annullato la precedente decisione della Commissione dei Ricorsi presso l’EUIPO che nel 2019 aveva dichiarato nullo il celebre mattoncino Lego già registrato come modello comunitario.

La pronuncia della Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO aveva infatti stabilito che non era possibile tutelare come modello il noto mattoncino della Lego poiché la forma dello stesso risulta imposta dalle caratteristiche funzionali del prodotto.

Nel 2016, la Delta Sport Handelskontor, società tedesca produttrice di giocattoli e concorrente di Lego, aveva avanzato un’azione di nullità avverso il citato modello di Lego sostenendo la contrarietà dello stesso alle disposizioni del Regolamento n. 6/2002 sul design comunitario (“RDC”), che vietano la registrabilità come disegno o modello, di prodotti (o parti di prodotto) il cui aspetto esteriore (oggetto di tutela) è dettato unicamente dalla funzione tecnica del prodotto stesso.

In base alla normativa comunitaria (art. 8 RDC, nonché a quella italiana, art. 36 Codice di proprietà industriale) non possono costituire validamente oggetto di registrazione come disegni o modelli, i prodotti, o le parti di prodotto, le cui caratteristiche esteriori sono necessitate esclusivamente dalla funzione tecnica del prodotto.

In sostanza, la forma di un prodotto può essere protetta anche se alcune delle sue caratteristiche sono funzionali, ma solo qualora il risultato tecnico al quale le stesse sono preordinate sia ottenibile anche con forme alternative: in tali casi infatti la scelta del designer è, seppur condizionata da ragioni funzionali, pur sempre discrezionale.

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Inoltre, non possono costituire oggetto di registrazione come disegni o modelli le caratteristiche dell'aspetto del prodotto che devono necessariamente essere riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per consentire al prodotto di essere connesso meccanicamente con altro prodotto, ovvero di essere collocato all'interno di un altro prodotto in modo che questo possa svolgere la propria funzione.

La normativa, tuttavia, prevede un importante eccezione per i cosiddetti sistemi modulari: in deroga al divieto di registrazione come modello o disegno di forme imposte dalla funzione tecnica, l’art. 8 ultimo comma RDC consente la registrazione di prodotti o parti di prodotto quando le forme dello stesso hanno “lo scopo di consentire l'unione o la connessione multiple di prodotti intercambiabili nell'ambito di un sistema modulare”. Per prodotti modulari si intendono i prodotti caratterizzati dall’intercambiabilità e dalla componibilità in un sistema di unione multipla. I prodotti in questione devono essere progettati per potersi connettere l’un l’altro secondo diverse combinazioni.

L’eccezione è giustificata dal fatto che nel caso dei sistemi modulari (diversamente dai pezzi di ricambio per i quali non vale l’eccezione), l’imitatore potrebbe inserirsi direttamente nel mercato dei prodotti finiti proponendo egli stesso un sistema completo ed autonomo concorrente con quello del titolare del primo modello. Mentre il pezzo di ricambio, quindi, è una parte del prodotto ad essa funzionale, il pezzo del sistema modulare è esso stesso il prodotto e beneficia dell’eccezione di cui all’art. 8 RDC.

Ebbene, con decisione del 10 aprile 2019, la Commissione dei ricorsi dell’EUIPO, su domanda della società tedesca aveva ritenuto che il modello di Lego fosse nullo in quanto tutte le caratteristiche estetiche del prodotto erano, ad avviso dell’Ufficio, unicamente dettate dalla funzione tecnica del prodotto, vale a dire consentire il montaggio e lo smontaggio con il resto dei mattoncini. Secondo la Commissione tale funzione è l'unico fattore che ha determinato le caratteristiche di aspetto del prodotto interessato dal disegno o modello impugnato.

In particolare, la Commissione aveva tenuto conto dei seguenti elementi: i) la fila di “bottoni” sulla faccia superiore del mattone; ii) la fila di cerchi più piccoli sulla faccia inferiore del mattone; iii) le due file di cerchi più grandi sulla faccia inferiore del mattone; iv) la forma rettangolare del mattone; v) lo spessore delle pareti del mattone e vi) la forma cilindrica delle “bottoni”.

La Commissione quindi aveva ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 8 paragrafo 1 RDC.

Inoltre, poiché, per poter svolgere la funzione di montaggio e smontaggio del prodotto interessato dal disegno o modello impugnato, le caratteristiche d'aspetto di tale disegno o modello, quali individuate dalla commissione di ricorso, devono essere riprodotte nelle dimensioni esatte al fine di consentire il loro collegamento, esse rientrano altresì nell'articolo 8, paragrafo 2, RDC.

Inoltre, aveva omesso di considerare l’eccezione proposta da Lego sui sistemi modulari di cui all’art. 8.3 RDC in quanto ritenuta inapplicabile al caso di specie oltre che tardiva.

A fronte della dichiarazione di nullità, la società danese ha quindi adito il Tribunale dell'Unione Europea al fine di ottenere l'annullamento di tale decisione.

Il Tribunale ha accolto la domanda di Lego sulla base delle seguenti considerazioni:

i)             Affinché un disegno o modello sia dichiarato nullo, tutte le caratteristiche esteriori del suo aspetto devono essere considerate ed imposte esclusivamente dalla funzione tecnica del prodotto a cui si riferiscono. Diversamente, se almeno una delle caratteristiche dell'aspetto del prodotto interessato da un disegno o modello non è imposta esclusivamente dalla funzione tecnica di tale prodotto, il disegno o modello non può essere annullato. Nella fattispecie in esame, il mattoncino Lego possiede una superficie liscia su due lati lunghi e tale caratteristica non compare tra quelle prese in esame dalla Commissione dell’EUIPO, pur trattandosi di una caratteristica dell'aspetto del prodotto che pare non incidere sulla funzionalità dello stesso.

ii)            Il Tribunale ha inoltre precisato quale sia il corretto iter di valutazione da seguire rispetto alla validità di un disegno o modello ai sensi dell’art. 8 RDC: è necessario, in primo luogo, determinare la funzione tecnica del prodotto interessato, in secondo luogo, analizzare le caratteristiche dell'aspetto di tale prodotto ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1 del Regolamento e, in terzo luogo, esaminare, alla luce di tutte le circostanze oggettive pertinenti, se tali caratteristiche siano dettate esclusivamente dalla funzione tecnica del prodotto interessato. In altri termini, occorre esaminare se la necessità di soddisfare tale funzione tecnica sia l'unico fattore che ha determinato la scelta di tali caratteristiche da parte del progettista, senza che considerazioni di altra natura, in particolare quelle relative all'aspetto visivo di tale prodotto, abbiano svolto alcun ruolo nella scelta di tali caratteristiche

iii)           Infine, la censura del Tribunale ha riguardato l’omessa presa in considerazione da parte della Commissione dell’EUIPO dell’eccezione ex art. 8.3 RDC sui sistemi modulari che ben può applicarsi al caso di specie.

Il mattoncino di Lego resta quindi valido come modello comunitario registrato con la conseguenza che ad esso si applica la protezione di 25 anni dalla data di registrazione. Inoltre, lo stesso non potrà essere riprodotto nelle sue caratteristiche individualizzanti dai concorrenti ai sensi del Regolamento.