contratti

L'orologio Royal Oak di Audemars Piguet non è un marchio tridimensionale.

Il Tribunale di Milano si è recentemente espresso sulla tutelabilità della forma del noto orologio “Royal Oak” creato nel 1972 dall’azienda svizzera Audermars Piguet  inizialmente protetto come marchio tridimensionale.

ff7aaa1bb9784efd57d21c1de9b7c859.png

L’Audemars Piguet aveva registrato come marchio internazionale figurativo la forma della relativa lunetta e lamentava la contraffazione di marchio e la concorrenza sleale per imitazione servile da parte degli orologi commercializzati dalla start-up milanese D One s.r.l.

In un primo momento il tribunale ha emesso un provvedimento inaudita altera parte inibendo la futura commercializzazione ma dopo che la D One  si è costituita in giudizio e ha esposto le proprie difese, tuttavia, il Giudice adito ha ribaltato la propria decisione iniziale e rigettato il ricorso di Audermars Piguet sulla base del fatto che “sussistono numerosi elementi di dubbio sulla validità del marchio azionato”, come testimoniato dal fatto che la sua registrazione come marchio comunitario sia stata negata dall’ufficio competente (UAMI).

In particolare, secondo il Tribunale il marchio sembra privo di capacità distintiva, ovvero della capacità di “distinguere i prodotti rispetto a quelli di un altro fabbricante e, dunque, svolgere la funzione di identificazione dell’origine imprenditoriale del prodotto”;

Sempre secondo la corte milanese il segno distintivo tridimensionale non sembra nemmeno avere acquisito capacità distintiva attraverso l’uso (c.d. “secondary meaning”), “non essendo stato documentato un utilizzo uniforme” del segno medesimo”.

Da ultimo la registrazione della forma in questione come marchio non sembra nemmeno compatibile con il dettato dell’art. 9 CPI, secondo il quale “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente … dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto”.

 In tema di concorrenza sleale, il Giudice ha ricordato che, per integrare l’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 co. 1 n. 1 c.c., l’imitazione servile del prodotto altrui deve “investire caratteristiche del tutto inessenziali rispetto alla funzione che sono destinate ad assolvere”, ovvero quelle caratteristiche “arbitrarie e capricciose” e “nuove rispetto al già noto” che conferiscono originalità al prodotto e hanno capacità distintiva, così che il pubblico è portato a ricondurle all’impresa da cui il prodotto origina: solo quando riguarda queste caratteristiche, l’imitazione servile investe “elementi idonei ad ingenerare confusione nel pubblico” e integra quindi concorrenza sleale confusoria.

Nel caso di specie, il Giudice non ha ravvisato la sussistenza di una simile imitazione, affermando sostanzialmente – sulla scorta di quanto rilevato in punto di contraffazione di marchio – che le forme imitate sarebbero “strutturali del prodotto e non distintive”, nonché in alcuni casi “ormai acquisite al gusto collettivo, avendo subito una certa standardizzazione”, e che comunque vi sarebbero “significative differenze” tra i due prodotti.

Rinvenuto il contratto tra Tazio Nuvolari e la Scuderia Ferrari

È stato recentemente ritrovato l’accordo del 1935 che Tazio Nuvolari aveva chiuso con l'Alfa Romeo - attraverso la Scuderia Ferrari.

La cosa che forse più colpisce leggendo l’accordo è l’estrema concisione dell’accordo, forse uno dei più importanti accordi di diritto sportivo degli anni 30: appena una pagina perché Nuvolari metta a disposizione i suoi servizi in favore della Scuderia Ferrari (che come è noto all’epoca gestiva e preparava autovetture Alfa Romeo).

Si stima quindi che Nuvolari potesse arrivare fra ingaggi, premi e gettoni della Scuderia quasi a mezzo milione di lire l'anno. Una cifra molto alta per l’epoca, molto di più di quanto la matematica lasci intendere (se si rapportano ad esempio i 40 milioni l'anno di Alonso, il più pagato in F1, con i 13 mila euro l'anno di un operaio).

Altra curiosità è il valore della polizza infortuni e vita, pari a quasi il 10% del valore dell’ingaggio.

L’altro dato interessante rimane la ripartizione dei premi. In un’epoca in cui i diritti media non esistevano, una delle fonti principali di introiti per le scuderie automobilistiche erano appunto i premi assegnati dagli organizzatori. L’accordo fa emergere una ripartizione alquanto favorevole a Nuvolari: ben la metà dei premi andavano al corridore.