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Il singolo di Prince “The most beautiful girl in the world”: confermato anche il risarcimento del danno morale per il plagio dell’opera.

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La vicenda giudiziaria non è recente, anzi (il tutto ha inizio nel 1995..), ma è di pochi giorni fa l’ultima parola della Corte di Cassazione in merito al se ed al quanto del risarcimento dovuto ai signori Bruno Bergonzi e Michele Vicino da parte degli eredi della celebre pop star americana, Prince Rogers Nelson, meglio noto come Prince, per avere quest’ultimo con il noto brano del “The most beautiful girl in the world” violato i diritti d’autore dei primi.

Il 25 gennaio 2021 infatti, la Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso presentato dagli eredi di Prince (nel frattempo deceduto) avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 2018 che riconosceva ai due autori italiani, oltre risarcimento dei danni economici (in Euro 956.608,00…), anche il ristoro morale, seppur nella minor cifra di Euro 40.000,00, per la “frustrazione artistica” sofferta dagli stessi autori in conseguenza del plagio della loro opera originale.

Ma facciamo un passo indietro: nel 1995 Bruno Bergonzi e Michele Vicino insieme a Edizioni Chappell s.r.l. - rispettivamente autori e cessionaria dei diritti di sfruttamento della canzone “Takin' me to paradise” - agivano avanti al Tribunale di Roma per vedere accertato il plagio della suddetta opera musicale da parte Prince Rogers Nelson, di Controversy Inc. e di Fortissimo Gruppo Editoriale s.r.I., rispettivamente autore e cessionarie dei diritti di utilizzazione economica della canzone diffusa con il titolo “The most beautiful girl in the world”, con conseguente condanna al risarcimento dei danni economici e morali.

Il 30 gennaio 2003, il Tribunale di Roma rigettava la domanda di Bruno Bergonzi, Michele Vicino e di Edizioni Chappell s.r.l..

Tuttavia (anche se dopo 7 anni..) la pronuncia  del Tribunale era riformata in appello: la Corte di Roma accertava infatti il plagio, inibiva la diffusione del brano nel territorio dello Stato italiano e condannava in solido Prince e Controversy Inc. al risarcimento del danno liquidato nella misura di Euro 956.608,00 a favore di Bergonzi e Vicino; Fortissimo Gruppo Editoriale era invece condannata al risarcimento nella minor somma di euro 6.888,40; nella prima sentenza la Corte d’Appello rigettava, tuttavia, la domanda di risarcimento del danno per violazione del diritto morale d'autore ritenendo insufficiente l’allegazione delle prove a supporto di tale danno da parte degli attori.

Tale pronuncia veniva impugnata e con sentenza del 29 maggio 2015, n.11225, la Cassazione si pronunciava sia con riguardo all’estensione degli effetti esplicati dalla sentenza di condanna limitatamente al territorio italiano sia per quanto concerne il mancato riconoscimento della violazione del diritto morale d’autore, ritenendo che quest’ultimo avrebbe invece dovuto trovare spazio e riconoscimento.

In particolare, la Corte di Cassazione riteneva apodittica la motivazione con cui la Corte di Appello di Roma valutava insufficienti le prove poste a sostegno del patito danno morale dagli autori nei loro atti difensivi, ribadendo il noto principio, applicabile quindi anche alla violazione del diritto morale d’autore, secondo cui in caso di accertata violazione dello stesso, il danno sofferto dall’autore deve considerarsi in re ipsa e come tale deve essere dimostrato solo nella sua estensione, senza che incomba all’attore altra prova. È sufficiente, secondo la Cassazione, a fondare la domanda volta alla condanna al risarcimento del diritto morale, la “frustrazione artistica” lamentata e subita dagli autori a fronte del plagio.

Ebbene nel 2018, Corte di appello di Roma pronunciava sentenza con cui inibiva all'eredità giacente di Prince e a Controversy ogni ulteriore riproduzione del brano “The most beautiful girl in the world” e, sulla base del rinvio della Cassazione, li condannava, in via equitativa, al pagamento della somma di Euro 40.000,00 ciascuno, oltre interessi a titolo di risarcimento morale.

Pareva dover cessare così la vicenda, ma gli eredi della celebre pop – star hanno nuovamente impugnato la decisione lamentando – per quanto qui di interesse -  l’errata applicazione delle norme sul diritto morale d’autore: tale ultimo ricorso è stato interamente rigettato dalla Corte di Cassazione con la recente pronuncia la quale ha confermato la correttezza del’iter argomentativo seguita dalla Corte di Appello nella liquidazione del danno per violazione del diritto morale d’autore.

La sentenza, che chiude definitivamente la vicenda di The Most Beautiful girl in the world, riguarda non solo, la già ampiamente riconosciuta facoltà del giudice di merito di liquidare in via equitativa il danno, anche morale, conseguente alla violazione del diritto d’autore, ma soprattutto il sicuro collegamento che può e deve sussistere – dice la Corte - fra l’entità del danno morale d’autore (e del relativo risarcimento) e le dimensioni spazio-temporali della condotta plagiaria, e quindi, in definitiva, la diffusione e il successo dell’opera in contraffazione.
La limitazione degli effetti della pronuncia del giudice italiano al solo territorio italiano, anziché a tutti i paesi del mondo dove il brano in contraffazione era stato diffuso – ritiene la Corte di Cassazione del 2015 – essere corretto: non esiste infatti, in materia di diritto d’autore nel caso di specie, alcuna norma che consenta al giudice nazionale di estendere gli effetti della sua pronuncia al di là dei confini nazionali dello stato in cui la decisione è assunta. Tuttavia, ritiene la Corte, la pronuncia del giudice di appello è errata e merita di essere riformulata, nella parte in cui “esclude implicitamente che la stessa pronuncia possa avere esecuzione anche in altri Stati esteri previa delibazione della stessa da parte dei giudici o delle autorità competenti”.

La pronuncia del 2015 inoltre ribadisce il noto principio in materia di diritto d’autore per cui il danno derivante dalla violazione del diritto d’autore è in re ipsa senza che incomba all’attore altra prova se non quella della sua estensione.

IL PREZZO DEL CONSENSO.

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Recentemente il Tribunale di Torino si è espresso sul tema della pubblicazione di fotografie in un sito internet senza la preventiva autorizzazione dell’autore e il riconoscendo la quantificazione del risarcimento sulla base del principio del “prezzo del consenso”.

L’autore di alcune fotografie, accortosi che le stesse comparivano all’interno di una piattaforma web, ha chiesto, in primo luogo, di essere riconosciuto titolare dei diritti di sfruttamento economico sulle stesse e, in secondo luogo, che gli fossero riconosciuti e, soprattutto, che fossero quantificati i diritti di sfruttamento economico allo stesso spettanti.

Il titolare delle fotografie chiedeva altresì che fossero riconosciuti e sanzionati anche gli atti di concorrenza sleale, nella forma della concorrenza parassitaria, posti in essere per aver, l’illegittimo utilizzatore della fotografie, contrariamente alle regole di correttezza professionale, sfruttato sistematicamente il lavoro del titolare delle stesse e per aver posto in essere attività potenzialmente idonee a privare la concorrente di quote di mercato.

Il Tribunale di Torino nel dirimere la controversia ha statuito non solo che l’illegittima pubblicazione in un sito web di fotografie altrui da parte di terzi non autorizzati costituisce violazione dei diritti di sfruttamento economico, ma anche che tale violazione debba essere sanzionata applicando il principio del “prezzo del consenso”.

Più precisamente, secondo tale criterio, la sanzione da comminare per l’illegittimo sfruttamento dei diritti d’autore deve essere quantificata sulla base della somma che il titolare dei diritti avrebbe percepito quale corrispettivo a seguito del raggiungimento di un accordo con l’utilizzatore. E la quantificazione del “prezzo del consenso” deve basarsi sul corrispettivo in precedenza richiesto dal titolare per la cessione di ogni singola fotografia, a favore di terzi soggetti.

Per quanto riguarda, invece, la richiesta di risarcimento del danno in relazione ai presunti atti di concorrenza sleale nella forma della concorrenza parassitaria, i giudici torinesi hanno stabilito che, nonostante nel caso in esame possano essere riscontrate plurime condotte contrarie ai principi della correttezza professionale, nonché dirette al sistematico sfruttamento del lavoro della titolare dei diritti di sfruttamento sulle fotografie, alcun danno patrimoniale ed extra-patrimoniale potrebbe essere riconosciuto in capo allo stesso poiché non adeguatamente provato.

LA TUTELA DELL'OPERA DI NATURA BIOGRAFICA

Si possono liberamente scrivere, pubblicare o raccontare le vite di personaggi famosi?

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Sul punto è recentemente intervenuto il Tribunale di Milano (Sezione Specializzata delle Imprese)  per dirimere un contenzioso tra due autori (Antonio Prestigiacomo e Marcello Sorgi) sulla vita del Principe Siciliano Raimondo Lanza di Trabia, l’uomo che inventò il calciomercato, che fu l’amante di Rita Hayworth e amico di Onassis.

In uno dei passaggi più interessanti, il Tribunale ha stabilito che nel caso di opere biografiche di personaggi noti, appartengono al patrimonio comune i fatti e le vicende che li hanno riguardati, che non sono, in sé, autonomamente monopolizzabili. La tutela autoriale cade invece sulle scelte formali, sulle tecniche stilistiche e redazionali, attraverso le quali l’autore li veicola.

Nel caso in esame, il Tribunale ha stabilito che il testo dell’attore Antonio Prestigiacomo, “Il Principe irrequieto. La vita di Raimondo Lanza di Trabia” gode senz’altro della tutela autoriale. E ciò sia sotto il profilo dell’originalità sia sotto il profilo della novità. Quanto all’originalità, esso si configura infatti come il risultato personale dell’armonizzazione di fatti veri, anche storici, e fatti verosimili, organizzati e rielaborati stilisticamente con una tecnica particolare. Il testo è infatti il frutto dell’alternanza, nel tessuto narrativo, di interviste articolate in domande e risposte, chiaramente individuabili per la presenza del virgolettato, compiute dall’autore a vari personaggi che hanno avuto conoscenza diretta del Principe.

Tuttavia, il Tibunale ha stabilito che premessa l’identità del protagonista e di molti eventi narrati, si evidenzia una distanza tra i due racconti, tale da ritenere che si tratti di autonome opere creative, appartenenti a diversi generi, ciascuna singolarmente tutelabile.

L’opera di Prestigiacomo non può in conclusione ritenersi plagiata da quella di Marcello Sorgi e le opere biografiche di personaggi noti, non sono però con riferimento ai fatti e alle vicende che li hanno riguardati, di per sé non monopolizzabili.

Accuse di Plagio al Film La Forma dell'Acqua.

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Con l’avvicinarsi della notte degli Oscar, crescono le polemiche intorno ai film selezionati dall’Academy Awards in concorso per la prestigiosa statuetta. 

“La forma dell'acqua”, il film di Guillermo del Toro candidato a 13 premi Oscar, è accusato di plagio: la pellicola sarebbe basata - è la denuncia - sulla commedia del 1969 'Let Me Hear You Whisper' del premio Pulitzer Paul Zindel. L'azione legale avviata contro il regista, il produttore e la casa cinematografica del film è di David Zindel, il figlio ed erede del famoso drammaturgo, che senza mezzi termini li accusa di aver «senza vergogna copiato la storia, gli elementi e i personaggi» della commedia di suo padre, utilizzando addirittura le stesse parole.

 La parola ora spetta al giudice, chiamato a stabilire se le accuse di Zindel sono fondate. Non è comunque la prima volta che a Hollywood si accendono battaglie sulle accuse di plagio, soprattutto in presenza di film di atteso successo.

Il classico Western di Sergio Leone Per un pugno di dollari è una delle vette del suo genere, grazie anche all'incredibile performance attoriale di Clint Eastwood, un pistolero vagabondo che, durante il suo girovagare, finisce nel bel mezzo di un conflitto tra due famiglie in un piccolo villaggio al confine con il Messico. Sfortunatamente, il film è anche un remake non autorizzato del film di samurai di Akira Kurosawa La sfida del samurai. Kurosawa mandò a Leone una lettera dicendo: "Bel film, ma era il mio film", e lo citò in giudizio chiedendo una percentuale dei ricavi. I due si misero d'accordo per un rimborso di 100 mila dollari e del 15% dei profitti a livello mondiale.
Altro caso eclatante fu quello di Terminator. Harlan Ellison è uno degli autori più rognosi di tutto il mondo della fantascienza americana, e ormai si contano a dozzine le cause contro persone accusate di rubargli le idee. Ad ogni modo, la causa che intentò contro James Cameron per The Terminator fu leggermente diversa. Ellison scrisse un episodio di Oltre i limiti chiamato Demon With a Glass Hand, che raccontava la storia di un soldato robot che, travestito da umano, viene spedito indietro nel tempo. La Orion Pictures decise di pagare un indennizzo prima ancora che il caso arrivasse in tribunale, e Ellison ottenne soldi e venne accreditato nel film.

Da ultimo si segnale il caso de “Il principe cerca moglie”.  Nel 1982, il noto sceneggiatore Art Buchwald scrisse un trattamento per la Paramount intitolato Re per un giorno, nel quale il protagonista era un sovrano africano ricco e arrogante che viaggiava in America. Il protagonista avrebbe dovuto essere Eddie Murphy. La Paramount comprò il trattamento e impiegò qualche anno nel vano tentativo di trovare qualcuno che scrivesse la sceneggiatura, prima di abbandonare il progetto nel 1985. I diritti tornarono così a Buchwald, che li vendette alla Warner Brothers. In seguito la Paramount girò un film con Eddie Murphy il quale interpretava la parte di un ricco e ignorante sovrano africano in viaggio per gli Stati Uniti. Il film si intitolava Il principe cerca moglie. Buchwald non fu né pagato né accreditato, così fece causa ma la Paramount si accordò privatamente con lui per una cifra sconosciuta.

 

ANCHE UNA GUIDA DI VINI E' UN OPERA CREATIVA.

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Somiglianze “significative” tra la guida di Bibenda Editore - ex “Duemilavini”, oggi “Bibenda” - e “Vitae” dell’AIS. sia relative al formato fisico che nelle schede descrittive per i dati relativi alle aziende e alle loro produzioni, e “forti elementi di assonanza nella sequenza degli argomenti”: è con queste parole, presenti nel testo della sentenza emessa dai giudici della IX Sezione Civile del Tribunale di Roma, che si conclude il primo grado di giudizio relativo alla denuncia per plagio sporta da Bibenda Editore nei confronti di Ais, a valle della conclusione, nel 2015, della collaborazione tra Bibenda e l’Ais.

Subito dopo l’interruzione dei rapporti che avevano visto per anni Ais acquistare la guida Bibenda per distribuirla ai propri soci, l’Associazione diede alle stampe una sua guida, battezzata “Vitae”, che però apparve agli autori di “Bibenda” troppo simile, sotto una molteplicità di punti di vista, a quella da loro creata secondo criteri redazionali ben precisi. Criteri che, secondo la sentenza, sono sufficientemente simili a quelli adottati da Ais per “Vitae” da giustificare una sua condanna: il Tribunale ha accolto le istanze di Bibenda Editore e ha inibito la pubblicazione di future edizioni di “Vitae” a meno che queste somiglianze non vengano sostanzialmente eliminate. Ais è stata condannata, inoltre, a risarcire i danni (ancora da quantificare) in favore di Bibenda Editore.

Secondo la sentenza del Tribunale, “l’esame della guida pubblicata dalla convenuta (ais) evidenzia significative somiglianze con la guida Bibenda in relazione alle dimensioni del volume, al materiale utilizzato per la copertina, alla rilegatura e ai caratteri di stampa adoperati e al formato.

Ulteriori rilevanti somiglianze si colgono nelle schede descrittive delle aziende, in entrambe le guide si rinvengono, con la stessa sequenza e all’interno di un identico contesto strutturale e secondo una comune presentazione grafica, i dati relativi a nome azienda, indirizzo, sito internet, indirizzo mail, anno di fondazione, proprietà, bottiglie prodotte, ettari vitati, vendita diretta, visite all’azienda, pezzo introduttivo, nome vino, tipologia, uve, gradazione alcolica, prezzo, bottiglie prodotte, degustazione, vinificazione e abbinamento.

È comune, inoltre, la valutazione dei prodotti con simboli posizionati sul lato destro delle pagine.

Come già rilevato le due guide presentano forti elementi di assonanza nella sequenza degli argomenti (…)”.

In base a tali argomentazioni, il Tribunale ha accolto le domande proposte da Bibenda Editore e ha inibito all’Associazione Italiana Sommelier di pubblicare per le annualità future la guida Vitae, salvo adeguamenti idonei a differenziarla in maniera sostanziale dalla guida Bibenda.